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  • Immagine del redattoreDavide Rinaldi

In memoria di Adriano Aprà


Ho appreso da pochi minuti della scomparsa del critico cinematografico (e mille altre cose) Adriano Aprà.

Uno degli incontri più fortunati della mia vita. Non ho avuto il tempo e la lucidità di farglielo sapere, e vorrei ora ricordarlo in queste poche righe.

Erano gli anni dell’università, mi iscrissi al Dams di Tor Vergata.

Avrei voluto occuparmi di arte, in modo vago, confuso e generico. Dopo alcuni mesi di vagabondaggio tra le aule e i corsi, e un rimbalzo continuo (come una pallina da flipper) tra teatro, musica elettronica, letteratura italiana, venni a conoscenza del suo corso di Cinema italiano (che non mi interessava molto, sulla carta, ma faceva parte del piano di studi e qualche esame avrei dovuto pur farlo).


Se non ricordo male, era la prima volta che Adriano Aprà svolgeva un corso universitario. Esordì con due moduli piuttosto strambi: “Il cinema di Roberto Rossellini degli anni 50”, e un altro, che mi sconvolse letteralmente, “La via sperimentale del cinema italiano, dagli anni ’60 all’avvento del digitale”, cioè un corso su tutti gli outsider del cinema italiano nella sua epoca d’oro. Non Fellini, Rossellini, Antonioni, non la commedia all’italiana, non il cinema di genere, niente di tutto ciò. Tutti gli outsider dagli anni ’60 ai primi 2000.

Il primo film proiettato fu una scoperta clamorosa: “Nostra signora dei Turchi” di Carmelo Bene.

Fu un colpo di fulmine, il cinema era quello che stavo cercando, qualcosa che attingesse nel modo più libero e variegato dalle varie forme d’arte. 

Le lezioni di Aprà erano una continua scoperta, il cinema non era solo industria, era un modo per indagare la realtà, la fantasia, era un mondo in cui la conoscenza tecnica non aveva fine e poteva darti una libertà espressiva infinita.

Il super8, i filmini amatoriali, i documentari personali di Silvano Agosti, le prime ricerche di videoarte e di cinema elettronico, le video-poesie e così via.

E ancora, la scoperta che il cinema stesso poteva essere usato per raccontare il cinema (i video-saggi), la conoscenza degli sperimentatori “overground” e “Underground”.

Le lezioni di Adriano Aprà furono una scoperta notevole, e il fiume di esempi e stimoli mi spinse a sperimentare con le telecameracce digitali e i primi montaggi; appena furono pronti i miei primi lavori, dopo un po’ di timore, mi convinsi a farglieli vedere.

Con un atto di grande gentilezza (rivedendoli anni dopo erano davvero lavori acerbi) fu lui a chiamarmi e ad analizzarli, a spingermi a continuare, a buttarmi alle spalle ciò che avevo fatto e guardare avanti.

Era di una disponibilità fuori dal comune. 

Gli chiesi di farmi da relatore per la laurea, e come tesi, proposi di realizzare un “video-saggio”, proposta che accettò all’istante, era un documentario basato sui personaggi maschili del cinema di Michelangelo Antonioni, frammenti in cui raccontavo come i personaggi fossero tutti in realtà lo stesso, uno specchio di Antonioni.

Un documentario visivo, di montaggio puro, senza voce narrante, senza testi in sovrimpressione.


Purtroppo mi allontanai: “La pubblicità è l’apologia della menzogna”, mi disse, quando seppe che studiavo pubblicità.

Con gli anni sono finito a pensarla come lui, ma allora, piccato, ci rimasi male, e la cosa portò ad allontanarmi.

Ma rimane il fatto che è stato uno degli incontri più importanti della mia vita, a cui ogni tanto penso ancora oggi, con grande riconoscenza.


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